Il luogo scelto per la commemorazione è presso la Chiesa della stazione di Valmozzola, dove è presente un monumento a ricordo dell'evento.
Con grande onore, ho svolto a nome della ANPC e ANPI, l'orazione ufficiale.
A seguire il testo del discorso commemorativo.
Cari amici compatrioti,
diceva Enrico Mattei in occasione del primo anniversario della
Liberazione il 25 aprile 1946: “…..siamo
qui affinché il passare del tempo non
attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai
quali, quasi esclusivamente, fu affidato l’immane compito di provare a tutti
gli italiani ed al mondo intero, che il nostro popolo sa ancora amare la Libertà sino a dare la sua
vita per conquistarla e difenderla……”
Un numeroso esercito di volontari dei quali oggi ricordiamo: Angelo
Trogu, Domenico Mosti, Giuseppe Tendola, Gino Parenti, Nino Gerini, Ubaldo
Cheirasco e i russi Vassili Belacoski e Mikhail Tartufian; vilmente fucilati il
17 marzo 1944 a rappresaglia dell’attacco al treno del 12 marzo precedente
senza che con quell’episodio nulla avessero a che fare.
Il 12 marzo 1944 era una fredda domenica e un gruppo di ribelli che
aveva le basi nella sperduta località di Pianelleto sul Monte Barigazzo e nella
frazione di Vettola di Mariano nella montagna parmense, si decise all’azione
probabilmente in cerca di cibo, vestiario ed armi compiendo così una delle prime clamorose azioni di guerra partigiana nel Parmense
Il gruppo era formato da elementi provenienti dalla città di Parma, da
alcuni locali, da militari sbandati del Regio Esercito e da diversi giovani
provenienti da tutta la provincia di La Spezia. Chi guidava i ribelli era un
certo Mario Devoti nativo del Piacentino (di cui a seguito della morte non è
più stato possibile risalire alle effettive generalità) che si faceva chiamare
"Mario Betti", il suo vice era Primo Battistini proveniente dallo
Spezzino che si faceva chiamare "Tullio". Come era obbligo per la
formazione, gli spostamenti erano frequenti, dalla base di Pianelleto a
Vettola, alle frazioni vicine. Era un continuo spostarsi per sfuggire alla
cattura.
Il giorno prima, 11 marzo, il comandante "Betti" si era deciso
a progettare un’azione eclatante: l’assalto ad un treno che transitava nella
stazione di Valmozzola: con lo scopo di liberare alcuni prigionieri che i
fascisti dovevano trasportare a Parma; di requisire i generi alimentari che
erano stati raccolti dalle autorità fasciste nel deposito di S. Martino e dare una "lezione" al capostazione, noto
fascista.
Non si conoscono con esattezza i nomi ed il numero dei partecipanti
all'azione (una ventina circa), solo di alcuni si ha la certezza:
"Betti", "Tullio", "Ballaben" (o
"Tommaso"), "Osvaldo", Valentini, Ezio Bassano
("Romualdo"), Picedi, Mario
Portunato ("Claudio"), Bacchini Renzo ("Primo"), Marchesini
Giovanni, De Fraia, Vistori, Cresci,
Efisio Piria.
Il 12 marzo alle 8.30 il convoglio proveniente da La Spezia stava
sopraggiungendo: sul treno, il diretto n° 2340 con direzione Parma, erano
presenti varie componenti delle forze armate della Repubblica di Salò: uomini
della Xª Flottiglia Mas, carabinieri, militi della Guardia nazionale
repubblicana; "Osvaldo" (Edoardo Frazzoni di Tosca) ponendosi in
mezzo ai binari, tenendo il macchinista sotto la minaccia del suo fucile
mitragliatore, bloccò il convoglio mentre gli altri salivano sui vagoni.
Nel conflitto a fuoco che seguì, morirono i sottotenenti Gastone
Carlotti e Domenico Piropan della Xª Mas, il vice capo-squadra nella guardia
nazionale repubblicana (G.N.R.) Luigi Comelli e vennero feriti il sergente maggiore
della contraerea Riziero Biancardi (che morì dopo poche ore a causa delle gravi
ferite riportate), il legionario Attilio Del Grosso e l’appuntato dei
carabinieri Marcello Baccheca. Fra i partigiani, perse la vita il comandante
"Betti" che aveva condotto l'azione e fu gravemente ferito al collo
Efisio Piria di Arcola.
Furono trovati e liberati tre renitenti accompagnati dai carabinieri e
catturati alcuni fascisti e dei tedeschi.
In quel parapiglia il capostazione si eclissò e nessuno si preoccupò di cercarlo.
I superstiti dell'azione abbandonarono la stazione dividendosi in due
gruppi e portando con sé i prigionieri. I Tedeschi vennero presto liberati per
paura di rappresaglie sulla popolazione. Una parte dei prigionieri scortati da
un piccolo gruppo di ribelli si diresse verso Branzone. In località Pian di
Barca i prigionieri vennero fucilati. Erano: un caposquadra della 7a Legione
Ferroviaria, un Legionario della 35a Legione di La Spezia, un carabiniere e tre
sottoufficiali della S. Marco.
L’assalto al treno provocò l’avvio di un massiccio rastrellamento in
tutta la zona del Pontremolese da parte di truppe tedesche e della Xª Mas, il
13 marzo, il prefetto di La Spezia, Franz Turchi, in un telegramma diretto al
ministero dell’ Interno, assicurò di avere inviato 300 uomini in provincia di
Parma e di Massa Carrara; il 14 marzo i nazi-fascisti catturarono in un
essiccatoio sul Monte Barca presso Pontremoli un intero gruppo partigiano
formato da Italiani e da Russi. Vi fu un combattimento in cui caddero Luigi
Giannetti e Luciano Righi ed il Russo Ivanov. I superstiti vennero catturati e condotti
a Bagnone e successivamente a Pontremoli per essere interrogati. Il calvario
doveva condurli a Migliarina e, in seguito, ancora a Pontremoli dove venne loro
comunicato che sarebbero stati giustiziati.
Nel dopoguerra, durante il processo istruito a Roma contro di lui, il Comandante
Valerio Borghese (comandante della Xª Flottiglia MAS e sottocapo di Stato
Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana di Salò) confermò come gli 8
partigiani fucilati il 17 marzo 1944 a Valmozzola fossero stati crudelmente
seviziati dagli uomini della Xª MAS.
Da notare che gli 8 partigiani fucilati non avevano nulla a che vedere con
l’ attacco di Valmozzola e i fascisti lo sapevano bene, in quanto li avevano
sorpresi e catturati sul Monte Barca, in una località distante parecchie
giornate di marcia dalla stazione di Valmozzola. Quell’uccisione rivestiva
quindi carattere esclusivamente terroristico e di rappresaglia.
La Xª MAS voleva compiere un'azione eclatante e per questo i partigiani
vennero portati il 17 Marzo alla stazione di Valmozzola proprio dove era
avvenuto il clamoroso assalto al treno.
Prima dell'esecuzione i partigiani spezzini concordarono che almeno uno
di loro si sarebbe potuto salvare. La motivazione era quella di ammettere
all'unanimità che uno era stato costretto a seguirli e perciò non era colpevole.
La scelta cadde su Mario Galeazzi che fu tolto dal gruppo e per questo si
salvò.
La Xª MAS fece poi affiggere in tutta la provincia il famoso manifesto
sul quale risaltava molto chiaramente lo spirito che animava il loro operato.
La frase: "La Decima non lascia invendicati i suoi morti." sanciva
questo abominevole concetto!
Senza dubbio la scelta della località della fucilazione era dovuta al
fatto che proprio lì era avvenuto lo smacco del giorno 12 e lì andava
vendicato. La presenza nella valle di molti giovani della provincia ligure
aveva indotto i comandanti fascisti a questa scelta apparentemente strana.
La "lezione" non ebbe l'effetto desiderato, sempre più giovani
salirono sui monti della Valmozzola e da quel primo gruppo se ne formarono
altri ben più numerosi tanto da formare due famose brigate che opereranno in
valle, la 1a e 2a Julia. Questo fatto che divenne una pietra miliare nella
storia della Resistenza Parmense, l'essere stata sede del Primo Comando Unico
Partigiano di tutta la provincia a Castello di Mariano, e l'ospitalità data a
tanti partigiani nei momenti tragici dei rastrellamenti, attestano ancora una
volta l'importanza di questa valle durante il periodo di quella eroica lotta
popolare.
Nei mesi a seguire queste vallate del territorio parmense facenti parte
della Diocesi di Piacenza, furono oggetto di azioni di inaudita ferocia da
parte dei nazifascisti, che nel devastare gli abitati di Strela e Cereseto – in
Comune di Compiano - perseguitando e colpendo le popolazioni inermi uccisero
vilmente anche i sacerdoti: don Alessandro Sozzi, padre Umberto Bracchi, don
Giuseppe Beotti, don Francesco Del Nevo ed il chierico Italo Subacchi.
I partigiani uccisi alla stazione di Valmozzola e questi sacerdoti, sono
tutte illuminate figure che per strade diverse hanno percorso il martirio
personale donando la propria esistenza alla crescita della comunità e la loro morte
conferma che la Resistenza è stata insurrezione di un popolo tutto contro la
tirannia e l’ingiustizia.
Proprio per questo suo valore universale, quale che sia la lettura che
si può fare, non vi è dubbio che la Resistenza abbia svolto un ruolo di primo
piano nella demistificazione, nella radicale rinunzia al totalitarismo ed alla
sua ideologia di sopraffazione e di violenza.
Un’ideologia di cui tutta la popolazione di allora ha percepito sempre più chiaramente, proprio grazie alla rivolta armata,
incompatibilità con la stessa tradizione civile dell’Italia e degli italiani.
Essa dunque ha contribuito in modo determinante a svuotare di ogni
possibile legittimazione popolare la violenza di potere. Ha dato luogo
conseguentemente ad un progressivo e sempre più marcato isolamento cui furono
costretti gli occupanti tedeschi e i loro servi italiani.
In questo senso è
giusto continuare a dare forza e vigore alle celebrazioni perché senza la
Resistenza non vi sarebbe stata la Repubblica, non vi sarebbe stata la
Costituzione, non vi sarebbe stata la Nuova Italia Democratica.
Per questo motivo oggi siamo qui a ricordare gli eroi di questa determinante pagina della nostra Patria,
proprio per voler rivivere e perpetuare gli ideali e i valori che li hanno animati,
perché sempre di più, proprio oggi, abbiamo bisogno di recuperare la serietà,
la credibilità, la responsabilità di un intero sistema sociale che con la perdurante
crisi dell’economia ha “scoperto” un mondo al quale non era più abituato; un
mondo che non può più vivere sui “lustrini”, adagiarsi sulle illusioni,
coltivare falsi miti.
La crisi ha messo a
nudo quanto di finto e di sbagliato si era fatto strada in anni e anni di
benessere e di crescita che parevano senza fine e sta, lentamente ma inesorabilmente,
riaprendo gli occhi a tutti.
E, forse,
finalmente, i comportamenti sbagliati ricominciano ad apparire, a tutti,
sbagliati, le persone non meritevoli, incominciano ad apparire, ai più, non
meritevoli e si incomincia a sentire, da parte dei più, la necessità di
recuperare i valori, l’etica, la morale.
"Chi cerca rimedi economici a problemi
economici è su falsa strada; la quale non può che condurre al precipizio. Il
problema economico è l'aspetto e la conseguenza di un più ampio problema,
spirituale e morale". Così scriveva tanti anni fa Luigi Einaudi,
cogliendo il senso di un problema che ha radici profonde e può essere risolto
solo ripartendo dai valori fondamentali della crescita della persona umana.
L’assunzione della
responsabilità personale per recuperare il senso vero della comunità che basa
le sue fondamenta sulla democrazia e sulla libertà.
Tocca a Te; nessuno
può fare quello che devi fare Tu, erano i concetti per i quali i nostri padri
sono andati sui monti a difendere e rifondare la Patria.
Quanto più comodo sarebbe stato per loro aderire alla Repubblica di Salò
e mantenere i propri posti di lavoro od averne dei nuovi invece che prendere la
strada della montagna e della latitanza e, una volta catturati, affrontare la
morte o i campi di prigionia in Germania; quanto più comodo sarebbe stato per
loro coprirsi gli occhi e, tacendo, far finta di niente seguendo la massa
inerme.
Scriveva don Primo Mazzolari, battagliero e fiero prete cremonese, nel
1943: "Solo chi si misura nella
folla col proprio cuore e confronta sulla strada e sulla barricata la propria
anima può sperare di essere ascoltato in un'ora non lontana, quando il pensar
bene, disgiunto dal pagare di persona, non sarà neanche preso in considerazione".
A cosa vale il pensare ed il parlare bene quando le tue parole non sono
accompagnate dai comportamenti adeguati?
Ecco che ritorna l’attualità del periodo buio e difficile della lotta di
Liberazione con l’oggi; quante belle parole abbiamo sentito negli ultimi anni e
quanti comportamenti contrari abbiamo notato.
E abbiamo, per lo più, taciuto:
-
accettando
l’inaccettabile e l’impresentabile;
-
delegando ad altri compiti di rappresentanza senza
poi controllarne l’ operato;
-
quante volte, anche per evitarci scomode
controversie con chi ci stava vicino, abbiamo
taciuto vedendo cose sbagliate.
E quante volte rinchiudendoci a difesa dei nostri “diritti acquisiti”
abbiamo inteso difendere le piccole o grandi “rendite di posizione” che negli
anni abbiamo accumulato non solo grazie ai nostri sacrifici ma anche grazie ad
un sistema sociale che ce lo ha consentito,
e, pervasi da un cieco egoismo scambiato per sacrosanto diritto, abbiamo
pensato al nostro personale interesse senza tenere conto del bene comune.
Quel
bene comune per il raggiungimento del quale i nostri padri sono andati a
combattere in montagna senza pensare a chi toccasse e a chi spettasse e quali
sarebbero stati i loro guadagni
personali.
Ed allora proprio in nome di: Angelo Trogu, Domenico Mosti, Giuseppe Tendola, Gino Parenti, Nino
Gerini, Ubaldo Cheirasco, Vassili Belacoski e Mikhail Tartufian, Martiri della stazione di Valmozzola, ed anche di don Giuseppe Beotti,
di Giuseppe Berti (per i quali la Diocesi di Piacenza ha avviato la causa di
beatificazione), di Francesco Daveri, cattolico, avvocato, riferimento e guida
del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, morto di stenti in un
sottocampo di Mauthausen il 12 aprile 1945,
e dei tanti che anche in questi nostri territori hanno saputo, pagando
di persona, ribellarsi alle ingiustizie; uomini valorosi che per strade e modi
diversi hanno interpretato e perseguito un unico disegno rivolto alla ricerca
della giustizia, della libertà e della democrazia, in nome di questi nostri
eroi che ci hanno permesso di vivere in una società ricca e prospera, dobbiamo
rivivere anche questa commemorazione alla ricerca dei valori e degli ideali.
Con l’ impegno alla
partecipazione personale di ognuno di noi, impegno che tutti noi oggi ci
dobbiamo assumere, voglio concludere l’odierna commemorazione con il ricordo di
Sergio Gigliotti, “Sparviero”, tra i più fulgidi maestri e testimoni della
lotta partigiana di questa terra e con le parole utilizzate dal suo amico
Felice Ziliani, piacentino, partigiano combattente con il soprannome di
“Griso”, tra i primi pionieri dell’Agip di Enrico Mattei e per anni, assieme a
Sergio, dirigente dell’Associazione Partigiani Cristiani, parole in memoria dei
sacerdoti della Diocesi di Piacenza - Martiri della Libertà.
I Sacerdoti che stiamo onorando ci
ricordano che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un
compito cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno
di noi ha un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perché
nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai
vera pace fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del
loro sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria
vita per gli altri.
E con queste belle parole che ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed
il significato profondo della responsabilità personale, permettetemi, di
mandare un ultimo saluto ai Caduti della stazione di Valmozzola, a don Giuseppe
Beotti a Giuseppe Berti, a Francesco Daveri, a “Sparviero” e al “Griso” che insieme a mio padre
Giovanni, partigiano combattente e ferito in battaglia, mi inculcò l’amore per
la nostra patria.
Anche a nome loro viva la Resistenza, viva la Repubblica, viva la
Patria, viva l’Italia unita.
Mario Spezia
Presidente
Provinciale
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
Piacenza
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