Sono nato a Salsomaggiore Terme (Parma) nel 1955 e risiedo a Piacenza. Sono sposato dal 1978 con Graziella.
Ho una figlia, Margherita, e una grande passione: la politica, che per me significa lavorare per costruire il futuro della nostra comunità.
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sabato 18 marzo 2017

Commemorazione eccidio partigiano della stazione di Valmozzola (Parma)

Anche quest'anno si è svolta, in Val di Taro, la cerimonia a ricordo degli otto partigiani fucilati dai nazifascisti il 17 marzo 1944.
Il luogo scelto per la commemorazione è presso la Chiesa della stazione di Valmozzola, dove è presente un monumento a ricordo dell'evento.
Con grande onore, ho svolto a nome della ANPC e ANPI, l'orazione ufficiale.


A seguire il testo del discorso commemorativo.


Cari amici compatrioti,

diceva Enrico Mattei in occasione del primo anniversario della Liberazione il 25 aprile 1946: “…..siamo qui affinché il passare del tempo non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali, quasi esclusivamente, fu affidato l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero, che il nostro popolo sa ancora amare la Libertà sino a dare la sua vita per conquistarla e difenderla……”

Un numeroso esercito di volontari dei quali oggi ricordiamo: Angelo Trogu, Domenico Mosti, Giuseppe Tendola, Gino Parenti, Nino Gerini, Ubaldo Cheirasco e i russi Vassili Belacoski e Mikhail Tartufian; vilmente fucilati il 17 marzo 1944 a rappresaglia dell’attacco al treno del 12 marzo precedente senza che con quell’episodio nulla avessero a che fare.

Il 12 marzo 1944 era una fredda domenica e un gruppo di ribelli che aveva le basi nella sperduta località di Pianelleto sul Monte Barigazzo e nella frazione di Vettola di Mariano nella montagna parmense, si decise all’azione probabilmente in cerca di cibo, vestiario ed armi compiendo così una delle prime clamorose azioni di guerra partigiana nel Parmense
Il gruppo era formato da elementi provenienti dalla città di Parma, da alcuni locali, da militari sbandati del Regio Esercito e da diversi giovani provenienti da tutta la provincia di La Spezia. Chi guidava i ribelli era un certo Mario Devoti nativo del Piacentino (di cui a seguito della morte non è più stato possibile risalire alle effettive generalità) che si faceva chiamare "Mario Betti", il suo vice era Primo Battistini proveniente dallo Spezzino che si faceva chiamare "Tullio". Come era obbligo per la formazione, gli spostamenti erano frequenti, dalla base di Pianelleto a Vettola, alle frazioni vicine. Era un continuo spostarsi per sfuggire alla cattura.
Il giorno prima, 11 marzo, il comandante "Betti" si era deciso a progettare un’azione eclatante: l’assalto ad un treno che transitava nella stazione di Valmozzola: con lo scopo di liberare alcuni prigionieri che i fascisti dovevano trasportare a Parma; di requisire i generi alimentari che erano stati raccolti dalle autorità fasciste nel deposito di S. Martino e dare  una "lezione" al capostazione, noto fascista.
Non si conoscono con esattezza i nomi ed il numero dei partecipanti all'azione (una ventina circa), solo di alcuni si ha la certezza: "Betti", "Tullio", "Ballaben" (o "Tommaso"), "Osvaldo", Valentini, Ezio Bassano ("Romualdo"), Picedi,  Mario Portunato ("Claudio"), Bacchini Renzo ("Primo"), Marchesini Giovanni,  De Fraia, Vistori, Cresci, Efisio Piria.
Il 12 marzo alle 8.30 il convoglio proveniente da La Spezia stava sopraggiungendo: sul treno, il diretto n° 2340 con direzione Parma, erano presenti varie componenti delle forze armate della Repubblica di Salò: uomini della Xª Flottiglia Mas, carabinieri, militi della Guardia nazionale repubblicana; "Osvaldo" (Edoardo Frazzoni di Tosca) ponendosi in mezzo ai binari, tenendo il macchinista sotto la minaccia del suo fucile mitragliatore, bloccò il convoglio mentre gli altri salivano sui vagoni.
Nel conflitto a fuoco che seguì, morirono i sottotenenti Gastone Carlotti e Domenico Piropan della Xª Mas, il vice capo-squadra nella guardia nazionale repubblicana (G.N.R.) Luigi Comelli e vennero feriti il sergente maggiore della contraerea Riziero Biancardi (che morì dopo poche ore a causa delle gravi ferite riportate), il legionario Attilio Del Grosso e l’appuntato dei carabinieri Marcello Baccheca. Fra i partigiani, perse la vita il comandante "Betti" che aveva condotto l'azione e fu gravemente ferito al collo Efisio Piria di Arcola.
Furono trovati e liberati tre renitenti accompagnati dai carabinieri e catturati alcuni fascisti e dei tedeschi.
In quel parapiglia il capostazione si eclissò e nessuno si preoccupò di cercarlo.
I superstiti dell'azione abbandonarono la stazione dividendosi in due gruppi e portando con sé i prigionieri. I Tedeschi vennero presto liberati per paura di rappresaglie sulla popolazione. Una parte dei prigionieri scortati da un piccolo gruppo di ribelli si diresse verso Branzone. In località Pian di Barca i prigionieri vennero fucilati. Erano: un caposquadra della 7a Legione Ferroviaria, un Legionario della 35a Legione di La Spezia, un carabiniere e tre sottoufficiali della S. Marco.
L’assalto al treno provocò l’avvio di un massiccio rastrellamento in tutta la zona del Pontremolese da parte di truppe tedesche e della Xª Mas, il 13 marzo, il prefetto di La Spezia, Franz Turchi, in un telegramma diretto al ministero dell’ Interno, assicurò di avere inviato 300 uomini in provincia di Parma e di Massa Carrara; il 14 marzo i nazi-fascisti catturarono in un essiccatoio sul Monte Barca presso Pontremoli un intero gruppo partigiano formato da Italiani e da Russi. Vi fu un combattimento in cui caddero Luigi Giannetti e Luciano Righi ed il Russo Ivanov. I superstiti vennero catturati e condotti a Bagnone e successivamente a Pontremoli per essere interrogati. Il calvario doveva condurli a Migliarina e, in seguito, ancora a Pontremoli dove venne loro comunicato che sarebbero stati giustiziati.
Nel dopoguerra, durante il processo istruito a Roma contro di lui, il Comandante Valerio Borghese (comandante della Xª Flottiglia MAS e sottocapo di Stato Maggiore della Marina Nazionale Repubblicana di Salò) confermò come gli 8 partigiani fucilati il 17 marzo 1944 a Valmozzola fossero stati crudelmente seviziati dagli uomini della Xª MAS.
Da notare che gli 8 partigiani fucilati non avevano nulla a che vedere con l’ attacco di Valmozzola e i fascisti lo sapevano bene, in quanto li avevano sorpresi e catturati sul Monte Barca, in una località distante parecchie giornate di marcia dalla stazione di Valmozzola. Quell’uccisione rivestiva quindi carattere esclusivamente terroristico e di rappresaglia.
La Xª MAS voleva compiere un'azione eclatante e per questo i partigiani vennero portati il 17 Marzo alla stazione di Valmozzola proprio dove era avvenuto il clamoroso assalto al treno.
Prima dell'esecuzione i partigiani spezzini concordarono che almeno uno di loro si sarebbe potuto salvare. La motivazione era quella di ammettere all'unanimità che uno era stato costretto a seguirli e perciò non era colpevole. La scelta cadde su Mario Galeazzi che fu tolto dal gruppo e per questo si salvò.
La Xª MAS fece poi affiggere in tutta la provincia il famoso manifesto sul quale risaltava molto chiaramente lo spirito che animava il loro operato. La frase: "La Decima non lascia invendicati i suoi morti." sanciva questo abominevole concetto!
Senza dubbio la scelta della località della fucilazione era dovuta al fatto che proprio lì era avvenuto lo smacco del giorno 12 e lì andava vendicato. La presenza nella valle di molti giovani della provincia ligure aveva indotto i comandanti fascisti a questa scelta apparentemente strana.
La "lezione" non ebbe l'effetto desiderato, sempre più giovani salirono sui monti della Valmozzola e da quel primo gruppo se ne formarono altri ben più numerosi tanto da formare due famose brigate che opereranno in valle, la 1a e 2a Julia. Questo fatto che divenne una pietra miliare nella storia della Resistenza Parmense, l'essere stata sede del Primo Comando Unico Partigiano di tutta la provincia a Castello di Mariano, e l'ospitalità data a tanti partigiani nei momenti tragici dei rastrellamenti, attestano ancora una volta l'importanza di questa valle durante il periodo di quella eroica lotta popolare.    



Nei mesi a seguire queste vallate del territorio parmense facenti parte della Diocesi di Piacenza, furono oggetto di azioni di inaudita ferocia da parte dei nazifascisti, che nel devastare gli abitati di Strela e Cereseto – in Comune di Compiano - perseguitando e colpendo le popolazioni inermi uccisero vilmente anche i sacerdoti: don Alessandro Sozzi, padre Umberto Bracchi, don Giuseppe Beotti, don Francesco Del Nevo ed il chierico Italo Subacchi.              
I partigiani uccisi alla stazione di Valmozzola e questi sacerdoti, sono tutte illuminate figure che per strade diverse hanno percorso il martirio personale donando la propria esistenza alla crescita della comunità e la loro morte conferma che la Resistenza è stata insurrezione di un popolo tutto contro la tirannia e l’ingiustizia.
Proprio per questo suo valore universale, quale che sia la lettura che si può fare, non vi è dubbio che la Resistenza abbia svolto un ruolo di primo piano nella demistificazione, nella radicale rinunzia al totalitarismo ed alla sua ideologia di sopraffazione e di violenza.    
Un’ideologia di cui tutta la popolazione di allora ha  percepito sempre più chiaramente,  proprio grazie alla rivolta armata, incompatibilità con la stessa tradizione civile dell’Italia e degli italiani.
Essa dunque ha contribuito in modo determinante a svuotare di ogni possibile legittimazione popolare la violenza di potere. Ha dato luogo conseguentemente ad un progressivo e sempre più marcato isolamento cui furono costretti gli occupanti tedeschi e i loro servi italiani.

                In questo senso è giusto continuare a dare forza e vigore alle celebrazioni perché senza la Resistenza non vi sarebbe stata la Repubblica, non vi sarebbe stata la Costituzione, non vi sarebbe stata la Nuova Italia Democratica.

Per questo motivo oggi siamo qui a ricordare gli eroi di questa  determinante pagina della nostra Patria, proprio per voler rivivere e perpetuare gli ideali e i valori che li hanno animati, perché sempre di più, proprio oggi, abbiamo bisogno di recuperare la serietà, la credibilità, la responsabilità di un intero sistema sociale che con la perdurante crisi dell’economia ha “scoperto” un mondo al quale non era più abituato; un mondo che non può più vivere sui “lustrini”, adagiarsi sulle illusioni, coltivare falsi miti.
                La crisi ha messo a nudo quanto di finto e di sbagliato si era fatto strada in anni e anni di benessere e di crescita che parevano senza fine e sta, lentamente ma inesorabilmente, riaprendo gli occhi a tutti.
                E, forse, finalmente, i comportamenti sbagliati ricominciano ad apparire, a tutti, sbagliati, le persone non meritevoli, incominciano ad apparire, ai più, non meritevoli e si incomincia a sentire, da parte dei più, la necessità di recuperare i valori, l’etica, la morale.

                "Chi cerca rimedi economici a problemi economici è su falsa strada; la quale non può che condurre al precipizio. Il problema economico è l'aspetto e la conseguenza di un più ampio problema, spirituale e morale". Così scriveva tanti anni fa Luigi Einaudi, cogliendo il senso di un problema che ha radici profonde e può essere risolto solo ripartendo dai valori fondamentali della crescita della persona umana.

                L’assunzione della responsabilità personale per recuperare il senso vero della comunità che basa le sue fondamenta sulla democrazia e sulla libertà.

                Tocca a Te; nessuno può fare quello che devi fare Tu, erano i concetti per i quali i nostri padri sono andati sui monti a difendere e rifondare la Patria.

Quanto più comodo sarebbe stato per loro aderire alla Repubblica di Salò e mantenere i propri posti di lavoro od averne dei nuovi invece che prendere la strada della montagna e della latitanza e, una volta catturati, affrontare la morte o i campi di prigionia in Germania; quanto più comodo sarebbe stato per loro coprirsi gli occhi e, tacendo, far finta di niente seguendo la massa inerme.

Scriveva don Primo Mazzolari, battagliero e fiero prete cremonese, nel 1943: "Solo chi si misura nella folla col proprio cuore e confronta sulla strada e sulla barricata la propria anima può sperare di essere ascoltato in un'ora non lontana, quando il pensar bene, disgiunto dal pagare di persona, non sarà neanche preso in considerazione".

A cosa vale il pensare ed il parlare bene quando le tue parole non sono accompagnate dai comportamenti adeguati?
Ecco che ritorna l’attualità del periodo buio e difficile della lotta di Liberazione con l’oggi; quante belle parole abbiamo sentito negli ultimi anni e quanti comportamenti contrari abbiamo notato.

E abbiamo, per lo più, taciuto:

-           accettando l’inaccettabile e l’impresentabile;
-          delegando ad altri compiti di rappresentanza senza poi controllarne l’ operato;
-          quante volte, anche per evitarci scomode controversie con chi ci stava vicino, abbiamo
taciuto vedendo cose sbagliate.

E quante volte rinchiudendoci a difesa dei nostri “diritti acquisiti” abbiamo inteso difendere le piccole o grandi “rendite di posizione” che negli anni abbiamo accumulato non solo grazie ai nostri sacrifici ma anche grazie ad un sistema sociale che ce lo ha consentito,  e, pervasi da un cieco egoismo scambiato per sacrosanto diritto, abbiamo pensato al nostro personale interesse senza tenere conto del bene comune.
                Quel bene comune per il raggiungimento del quale i nostri padri sono andati a combattere in montagna senza pensare a chi toccasse e a chi spettasse e quali sarebbero stati i loro  guadagni personali.

Ed allora proprio in nome di: Angelo Trogu, Domenico Mosti, Giuseppe Tendola, Gino Parenti, Nino Gerini, Ubaldo Cheirasco, Vassili Belacoski e Mikhail Tartufian, Martiri della stazione di Valmozzola, ed anche di don Giuseppe Beotti, di Giuseppe Berti (per i quali la Diocesi di Piacenza ha avviato la causa di beatificazione), di Francesco Daveri, cattolico, avvocato, riferimento e guida del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, morto di stenti in un sottocampo di Mauthausen il 12 aprile 1945,  e dei tanti che anche in questi nostri territori hanno saputo, pagando di persona, ribellarsi alle ingiustizie; uomini valorosi che per strade e modi diversi hanno interpretato e perseguito un unico disegno rivolto alla ricerca della giustizia, della libertà e della democrazia, in nome di questi nostri eroi che ci hanno permesso di vivere in una società ricca e prospera, dobbiamo rivivere anche questa commemorazione alla ricerca dei valori e degli ideali.

       Con l’ impegno alla partecipazione personale di ognuno di noi, impegno che tutti noi oggi ci dobbiamo assumere, voglio concludere l’odierna commemorazione con il ricordo di Sergio Gigliotti, “Sparviero”, tra i più fulgidi maestri e testimoni della lotta partigiana di questa terra e con le parole utilizzate dal suo amico Felice Ziliani, piacentino, partigiano combattente con il soprannome di “Griso”, tra i primi pionieri dell’Agip di Enrico Mattei e per anni, assieme a Sergio, dirigente dell’Associazione Partigiani Cristiani, parole in memoria dei sacerdoti della Diocesi di Piacenza - Martiri della Libertà.
       I Sacerdoti che stiamo onorando ci ricordano che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un compito  cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno di noi ha un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perché nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai vera pace fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del loro sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria vita per gli altri.

E con queste belle parole che ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale, permettetemi, di mandare un ultimo saluto ai Caduti della stazione di Valmozzola, a don Giuseppe Beotti a Giuseppe Berti, a Francesco Daveri, a “Sparviero”  e al “Griso” che insieme a mio padre Giovanni, partigiano combattente e ferito in battaglia, mi inculcò l’amore per la nostra patria.

Anche a nome loro viva la Resistenza, viva la Repubblica, viva la Patria, viva l’Italia unita. 


Mario Spezia

Presidente Provinciale
Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Piacenza

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