Sono nato a Salsomaggiore Terme (Parma) nel 1955 e risiedo a Piacenza. Sono sposato dal 1978 con Graziella.
Ho una figlia, Margherita, e una grande passione: la politica, che per me significa lavorare per costruire il futuro della nostra comunità.
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mercoledì 26 aprile 2017

Agli amici compatrioti di Carpaneto

Discorso tenuto a Carpaneto il 25 aprile 2017 in commemorazione della ricorrenza della Liberazione dal nazifascismo.




Cari amici compatrioti  di Carpaneto,

diceva Enrico Mattei in occasione del primo anniversario della Liberazione il 25 aprile 1946: “…..siamo qui affinché il passare del tempo non attenui il ricordo e la considerazione per quell’esercito di volontari ai quali, quasi esclusivamente, fu affidato l’immane compito di provare a tutti gli italiani ed al mondo intero, che il nostro popolo sa ancora amare la Libertà sino a dare la sua vita per conquistarla e difenderla……”
Un numeroso esercito di volontari tra i quali vogliamo oggi ricordare in particolare i caduti di Carpaneto,  ma anche don Giuseppe Beotti, parroco di Sidolo in Comune di Bardi nella parte parmense della Diocesi di Piacenza, fucilato il 20 luglio 1944 dai nazi-fascisti davanti alla sua chiesa; aveva 32 anni. La sua colpa: nel periodo della guerra essersi distinto per la sua indefessa carità verso partigiani, ebrei, soldati in fuga feriti.
A ricordo del suo martirio la Diocesi di Piacenza ha avviato, il processo di beatificazione come anche ha fatto per il prof. Giuseppe Berti; per ricordare e tramandare il ricordo di uomini giusti e caritatevoli al servizio del ben comune a costo della loro stessa vita; antifascisti non per scelta politica ma per stare dalla parte degli oppressi e dei deboli e contrastare le tirannie che negano la dimensione della persona ed il libero svilupparsi della comunità.
Ma anche don Giuseppe Borea, parroco di Obolo, la qui vicina piccola frazione sui monti del comune di Gropparello; durante la Resistenza cappellano partigiano della Divisione "Val d’Arda" del colonnello Giuseppe Prati; arrestato dai fascisti il 28 gennaio 1945 fu condannato a morte, dopo un processo “farsa”, e fucilato a Piacenza dietro le mura del cimitero la sera del 9 febbraio 1945; aveva solo 35 anni.
A don Borea, sono state conferite la medaglia d'argento al valore militare e la medaglia d’oro consegnata nel 1977 al fratello Camillo dall'Associazione Partigiani Cristiani e a lui la nostra Associazione ha voluto dedicare il ricordo di questo 25 aprile contribuendo alla pubblicazione, edita da Il Nuovo Giornale, di un libretto che ne ricorda la vita e le opere e vuole essere il viatico per l’avvio, anche per lui, dell’auspicabile processo di beatificazione.
                Tutte illuminate figure che per strade diverse hanno percorso il martirio personale donando la propria esistenza alla crescita della comunità a conferma che la Resistenza è stata insurrezione di un popolo tutto contro la tirannia e l’ingiustizia.
Proprio per questo suo valore universale, quale che sia la lettura che si può fare, non vi è dubbio tuttavia che la Resistenza abbia svolto un ruolo di primo piano nella demistificazione, nella radicale rinunzia al totalitarismo ed alla sua ideologia di sopraffazione e di violenza.     
Un’ideologia di cui tutta la popolazione di allora ha  percepito sempre più chiaramente,  proprio grazie alla Resistenza, incompatibilità con la stessa tradizione civile dell’Italia e degli italiani.
Essa dunque ha contribuito in modo determinante a svuotare di ogni possibile legittimazione popolare la violenza di potere. Ha dato luogo conseguentemente ad un progressivo e sempre più marcato isolamento cui furono costretti gli occupanti tedeschi e i loro servi italiani.
                In questo senso è giusto continuare a dare forza e vigore alle celebrazioni; perché non vi sarebbe stata la Repubblica, non vi sarebbe stata la Costituzione, non vi sarebbe stata la Nuova Italia Democratica, senza la Resistenza.

                Queste sono le motivazioni che ci spingono ancora oggi a proseguire nel festeggiare le ricorrenze partigiane: per ricordare e ridare attualità ai valori fondanti e sempre attuali della nostra Patria.

Per cui oggi siamo qui non solo a ricordare gli eroi di questa  determinante pagina della nostra Patria, ma anche a voler rivivere e perpetuare gli ideali e i valori che li hanno animati, perché sempre di più, proprio oggi, abbiamo bisogno di recuperare la serietà, la credibilità, la responsabilità di un intero sistema sociale che con la crisi dell’economia e con il crollo delle “borse” ha “scoperto” un mondo al quale non era più abituato; un mondo che non può più vivere sui “lustrini”, adagiarsi sulle illusioni, coltivare falsi miti.
                La crisi ha messo a nudo quanto di finto e di sbagliato si era fatto strada in anni e anni di benessere e di crescita che parevano senza fine e sta, lentamente ma inesorabilmente, riaprendo gli occhi a tutti.
                E, forse, finalmente, i comportamenti sbagliati ricominciano ad apparire, a tutti, sbagliati, le persone non meritevoli, incominciano ad apparire, ai più, non meritevoli e si incomincia a sentire, da parte dei più, la necessità di recuperare i valori, l’etica, la morale.

                "Chi cerca rimedi economici a problemi economici è su falsa strada; la quale non può che condurre al precipizio. Il problema economico è l' aspetto e la conseguenza di un più ampio problema, spirituale e morale". Così scriveva tanti anni fa Luigi Einaudi, cogliendo il senso di un problema che ha radici profonde e può essere risolto solo ripartendo dai valori fondamentali della crescita della persona umana.

                L’assunzione della responsabilità personale per recuperare il senso vero della comunità che basa le sue fondamenta sulla democrazia e sulla libertà.

                Tocca a Te; nessuno può fare quello che devi fare Tu, erano i concetti per i quali i nostri padri sono andati sui monti a difendere e rifondare la Patria.

Quanto più comodo sarebbe stato per loro aderire alla Repubblica di Salò e mantenere i propri posti di lavoro od averne dei nuovi invece che prendere la strada della montagna e della latitanza e, una volta catturati, affrontare la morte o i campi di prigionia in Germania; quanto più comodo sarebbe stato per loro coprirsi gli occhi e, tacendo, far finta di niente seguendo la massa inerme.

Scriveva don Primo Mazzolari, battagliero e fiero prete cremonese, dopo l’8 settembre 943: "Solo chi si misura nella folla col proprio cuore e confronta sulla strada e sulla barricata la propria anima può sperare di essere ascoltato in un'ora non lontana, quando il pensar bene, disgiunto dal pagare di persona, non sarà neanche preso in considerazione".

A cosa vale il pensare ed il parlare bene quando le tue parole non sono accompagnate dai comportamenti adeguati?
Ecco che ritorna l’attualità del periodo buio e difficile della lotta di Liberazione con l’oggi; quante belle parole abbiamo sentito negli ultimi anni e quanti comportamenti contrari abbiamo notato.

E abbiamo, per lo più, taciuto;
         - accettando l’inaccettabile e l’impresentabile;
         - delegando ad altri compiti di rappresentanza senza poi controllarne l’ operato;
         - quante volte, anche per evitarci scomode controversie con chi ci stava vicino, abbiamo
           taciuto vedendo cose sbagliate.

        E quante volte rinchiudendoci a difesa dei nostri “diritti acquisiti” abbiamo inteso difendere le piccole o grandi “rendite di posizione” che negli anni abbiamo accumulato non solo grazie ai nostri sacrifici ma anche grazie ad un sistema sociale che ce lo ha consentito, e, pervasi da un cieco egoismo scambiato per sacrosanto diritto, abbiamo pensato al nostro personale interesse senza tenere conto del bene comune.
                Quel bene comune per il raggiungimento del quale i nostri padri sono andati a combattere in montagna senza pensare a chi toccasse e a chi spettasse e quali sarebbero stati i loro  guadagni personali.
Ed allora proprio in nome dei Martiri di Carpaneto, di don Giuseppe Borea, di don Giuseppe Beotti, di Giuseppe Berti, di Francesco Daveri, cattolico, avvocato, riferimento e guida del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, morto di stenti in un sottocampo di Mauthausen,  e dei tanti che anche in questi nostri territori hanno saputo, pagando di persona, ribellarsi alle ingiustizie, uomini valorosi che per strade e modi diversi hanno interpretato e perseguito un unico disegno rivolto alla ricerca della giustizia, della libertà e della democrazia, in nome di questi nostri eroi che ci hanno permesso di vivere in una società ricca e prospera, dobbiamo rivivere questo 25 aprile alla ricerca dei valori e degli ideali.
Con l’ impegno alla partecipazione personale di ognuno di noi, impegno che tutti noi oggi ci dobbiamo prendere, voglio concludere l’odierna commemorazione con le parole utilizzate da Felice Ziliani, partigiano che ha combattuto proprio in queste vallate con il soprannome di “Griso”, tra i primi pionieri dell’Agip di Enrico Mattei per anni dirigente dell’Associazione Partigiani Cristiani, nel Suo intervento all’ultimo convegno da Lui organizzato l’8 ottobre 2005, in occasione del 60° Anniversario della Liberazione, parole in memoria dei sacerdoti della Diocesi di Piacenza  Martiri della Libertà.
Conclusione che preludeva la lettura, come Sua abitudine in tutte le occasioni pubbliche, della Preghiera del Ribelle scritta dalla Medaglia d’oro Teresio Olivelli; frasi che riassumono il Suo stile di vita e la Sua esistenza (e che ci ricordano l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale di ognuno di noi):
       I Sacerdoti che stiamo onorando ci ricordano che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un compito  cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno di noi ha un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perché nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai vera pace fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del loro sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria vita per gli altri.

E con queste belle parole che ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed il significato profondo della responsabilità personale, permettetemi, di mandare un ultimo saluto ai Caduti di Carpaneto, a don Giuseppe Borea a don Giuseppe Beotti a Giuseppe Berti, a Francesco Daveri e al  “Griso” che insieme a mio padre Giovanni, partigiano combattente e ferito in battaglia, mi inculcò l’amore per la nostra patria.

Anche a nome loro viva la Resistenza, viva la Repubblica, viva la Patria. 

Mario Spezia
Presidente Provinciale ANPC


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