Anche quest'anno, in data 19 luglio, si è svolta in Val Ceno la cerimonia di commemorazione del settantatreesimo anniversario della strage di civili trucidati dai nazifascisti il 19 luglio 1944.
“Il mattino del 19 luglio 1944 su Strela si scatenava, come un uragano, la furia tedesca, che seminò sangue, fuoco e distruzione. Diciassette le vittime innocenti, barbaramente massacrate, tra le quali il parroco D. Alessandro Sozzi ed il Missionario Vincenziano Padre Umberto Bracchi; trentacinque le case ed i cascinali incendiati................................... I soldati di Hitler, non ancora sazi di sangue, proseguono per Cereseto e Sidolo, riversando su quei due paesi il loro odio bestiale"
Ho avuto il grande onore di svolgere, a nome della ANPC, l'orazione ufficiale.
Da sinistra: Mario Spezia, Sabina Delnevo (Sindaco di Compiano), Don Amedeo Mantovani (Parroco di Strela), e Don Angelo Busi (Parroco di Borgotaro)
A seguire il testo del discorso commemorativo.
Cari amici compatrioti,
nel 1974 in
occasione della ricorrenza del 30° anniversario della strage, scriveva Don
Innocente Capella, dal 1951 parroco di Strela:”….….oltre alla celebrazione di doveroso suffragio, ricorderemo queste
povere Vittime, ignare, innocenti, trascinate nel vortice di sangue e di odio
senza la benché minima provocazione, dedicando loro il nuovo concerto di 5
campane in Mi Bemolle Maggiore elettrificato. Fuse nel bronzo, tramanderanno ai
posteri i loro nomi ed il loro sacrificio. Il suono di questi sacri bronzi sarà
un po’ anche la loro voce che invita tutti, asciugata ogni lacrima, a
ritrovarsi insieme nella Celebrazione Eucaristica, ove essi, già partecipi
dell’Assemblea trionfante, sono sempre partecipi con noi, ancora Assemblea pellegrinante,
ad offrire, uniti al Grande, Universale Sacrificio della Croce, il loro e
nostro Sacrificio e ripetono a tutti, col Divin Maestro e Martire della Croce:
«Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno » L’odio tentò di
distruggerli, invece essi vivono per sempre nella gloria del Risorto, nel cuore
di Strela, nella voce dei sacri bronzi si legge il dramma della strage di
Strela……….”
Sono queste
parole che meglio di ogni altre inquadrano la logica della ricorrenza ed il
significato del ricordo che ancora oggi, a distanza di 73 anni, vogliamo tenere
vivo e tramandare quale monito per le future generazioni affinché sappiano
evitare il ripetersi di tali drammatici eventi.
Scrive sempre
don Innocente a proposito dei terribili momenti:
“Il mattino del 19 luglio 1944 su Strela si scatenava, come un uragano,
la furia tedesca, che seminò sangue, fuoco e distruzione. Diciassette le
vittime innocenti, barbaramente massacrate, tra le quali il parroco D.
Alessandro Sozzi ed il Missionario Vincenziano Padre Umberto Bracchi;
trentacinque le case ed i cascinali incendiati.
Perché? Quali le cause? Un velo di mistero copre ancora questa
esplosione di odio. Certo una rappresaglia. Ma per che cosa? Qualche equivoco
deve essere alla base di tutta la tragedia.
Nel pomeriggio del 18 luglio, vigilia del giorno fatale, un contingente
di SS tedesche, provenienti da Borgotaro, accampa presso Barbigarezza. Già era
in atto un vasto movimento di truppe provenienti da Chiavari e dalla Toscana;
ma il reparto di truppa accampato a Barbigarezza mette in allarme tutta Strela.
Gli uomini raccolgono un po’ di cibo e si danno alla macchia. Le donne e i
bambini, trepidanti, si raccolgono nelle case. Un maresciallo ed un tenente
tedeschi fanno la loro apparizione in paese. Sono le ore 18 circa.
Il parroco, D. Alessandro Sozzi, nativo di Monti di Bedonia, prete di
animo buono e generoso, ardente di zelo pastorale, interessato allo sviluppo
agricolo del luogo e sempre mosso da paterna sollecitudine verso i
parrocchiani, accoglie con deferenza i due graduati in canonica. E’ suo ospite
Padre Umberto Bracchi, nativo di Borgotaro, instancabile ministro della Parola
di Dio, apostolo di bene, cresciuto alla Scuola di S. Vincenzo de’ Paoli tra i
Preti della Missione. I due militari tedeschi osservano ogni cosa, impassibili,
e non tradiscono i loro pensieri. Quando se ne vanno, dopo aver accettato un
bicchiere di vino, Don Alessandro li segue, vuol recarsi al Comando tedesco per
capirne le intenzioni e poi consigliare bene la sua gente. Dopo duecento metri
di strada viene rimandato indietro. «No, No, Padre - gli viene detto - se
venire uccidere subito ».
Padre Bracchi aveva mostrato i documenti personali, redatti dai vari
Comandi tedeschi. « Boni, boni " - avevano risposto - «Nulla fare, essere
a posto ".
Allontanatisi i tedeschi, si fecero i primi commenti e ci si fece un
po’ coraggio. Sembrava che, restando ciascuno al proprio posto, non ci fosse
nulla da temere. Alcuni uomini ritornarono dalla macchia, rincuorati da queste
impressioni, che sembravano buone.
Fu invece un inganno atroce. Alle 6 del mattino del giorno dopo, 19
luglio, festa liturgica di S. Vincenzo de’ Paoli, un nuovo allarme. Era troppo
tardi. Da più direzioni numerose pattuglie tedesche danno l’assalto a Strela.
La tragedia esplode fulminea. La gente era già al lavoro nei campi; qua e là
pascolavano pecore e mucche.
Don Alessandro e Padre Umberto, appena terminata la celebrazione della
Messa, uscendo sul sagrato, si rendono conto della gravità della situazione.
Dense colonne di fumo si levano da Costalta in fiamme. Ovunque crepitii di
colpi di arma da fuoco e ogni tanto colpi più assordanti di bombe a mano... Da
lontano si odono grida disperate. « Costalta in fiamme, ammazzano!» grida un
fuggitivo. I due preti non sanno che fare Don Alessandro entra in canonica, si
porta alla finestra prospicente Costalta, alza le mani benedicenti, prorompendo
in lacrime. Passano pochi istanti, si sentono passi cadenza ti sul sagrato,
parole incomprensibili, colpi secchi alla porta. Sono loro i tedeschi. Entrano.
Non è possibile conoscere il breve colloquio fra sacerdoti e militari. In breve
saccheggiano la canonica, asportano denaro e oggetti di valore sacri e profani.
Spingono fuori i due sacerdoti, con bombe incendiarie appiccano il fuoco alla canonica
e a quella sala che era la chiesa di allora. I due preti intanto vengono
condotti davanti al cimitero e fatti addossare al muro di cinta. Ormai è
scoccata l’ora del Sacrificio. L’intuiscono. Fissandosi muti negli occhi,
presaghi della fine, si impartiscono vicendevolmente l’assoluzione. Una raffica
di mitra li colpisce ed ambedue cadono: Don Alessandro colpito alla testa,
Padre Bracchi al petto. L’uno e l’altro col Breviario in mano. Gli assassini li
finiscono a colpi di pistola.
Dopo aver depredato anche i cadaveri, togliendo portafogli, orologi e
scarpe, i soldati si allontanano per unirsi agli altri che stanno mettendo a
ferro e a fuoco l’abitato: uccidono, incendiano case, cascinali e stalle,
rubano quanto possono e deportano il bestiame. Strela agonizza. Urla selvagge,
pianti, implorazioni accorate, gemiti, rantoli di morte s’intrecciano al
crepitio delle armi automatiche e delle fiamme. E’ un eccidio!
I soldati sembrano demoni scatenati dall’odio più feroce. Sei uomini:
Bracchi Pietro, Tamiri Giovanni, Adetti Luigi, Vincastri Luigi, Mezzetta Mauro,
Dallafiora Giuseppe, trovati in casa, sono legati e massacrati in un crocicchio
a duecento metri dalla Chiesa; Antonio Gazzoli, Sergio Capitelli (il primo
padre di quattro bambini, il secondo ammalato, rachitico dalla nascita)
strappati violentemente dalle braccia dei loro cari e trucidati; i fratelli
Franchi Luigi e Paolo, entrambi padri di famiglia, sono legati con le mani
dietro la schiena con filo di ferro, lasciati a lungo al sole sull’aia di casa
e poi orribilmente massacrati sotto gli occhi dei figli e congiunti; Giuseppe
Feci, campanaro, padre di sei figli di cui uno prigioniero in Algeria, viene
colpito alla nuca, mentre teneva per mano una nipotina di pochi anni. Dallara
Rodolfo, uomo onesto e laborioso, viene chiamato a gesti da alcuni tedeschi:
egli ignaro della loro crudeltà, si avvicina ed un colpe alla testa lo atterra;
Luigi Gonzaga, scoperto al capezzale del suocero infermo, lasciato libero in un
primo tempo, viene poi abbattuto con una raffica di mitra; Pio Camisa, sorpreso
dai tedeschi a Costalta legate le mani dietro la schiena, era costretto a
seguire i carnefici a Strela e quivi, davanti al macabro spettacolo della
strage avvenuta, ucciso spietatamente tra i corpi insanguinati di altre
vittime. Perfino un ragazzo veniva inghiottito dal vortice disumano: Enrico
Delgrosso, quattordicenne appena, se ne stava tutto solo, pieno di terrore, in
un prato discosto, a custodire le mucche, quando, scorto da un soldato, venne
colpito gravemente alle gambe, con una scarica di fucile mitragliatore.
Stramazzò al suolo dando in urla strazianti; il tedesco si avvicinò a
passi lenti, indugiò qualche istante col fucile puntato alla fronte della
creatura innocente, poi sparò. Dai margini del prato, dove s’erano cacciate,
dopo una fuga pazza e confusa, le povere bestie guardavano e nei loro occhi
impauriti pareva si rispecchiasse tutto l’orrore della scena selvaggia.
I corpi delle vittime restano insepolte ed esposte al sole di luglio
per tre giorni, su precisa disposizione tedesca.
I soldati di Hitler, non ancora sazi di sangue, proseguono per Cereseto
e Sidolo, riversando su quei due paesi il loro odio bestiale.
Nel pomeriggio del 22, elementi del battaglione San Marco, giungono in
paese con il proposito di bruciare i cadaveri.
Le preghiere. le lacrime dei congiunti e della popolazione riescono a
distoglierli dal sacrilego atto. Donne e vecchi costruiscono, con rozze tavole,
delle casse e danno sepoltura ai martiri. Il piccolo cimitero di Strela ne
custodisce le sacre spoglie. Il loro sacrificio esige da noi superstiti
l’amore, la concordia ed il perdono”
L’azione
devastatrice dei nazi-fascisti prosegue poi per tutta l’alta valle, investendo
villaggi e paesi. I reparti militari giungono a Cereseto il 20 luglio e
incendiano il paese. Gli uomini catturati e incolonnati vengono condotti verso
la deportazione. Per ragioni rimaste sconosciute, lungo il tragitto tre di
loro: Giovanni Rapetti, Pio Rapetti, Eliseo Gonzaga vengono fucilati ed
abbandonati lungo la strada.
Perché tanta
ferocia?
Di certo, da
parte degli occupanti tedeschi e dei loro servi italiani della Repubblica
fantoccio di Salò, vi era la volontà di punire coloro i quali si opponevano al
potere costituitisi dopo l’8 settembre 1943 e, attraverso il rastrellamento
dell’estate del 1944, snidare i ribelli, punire i disertori e dare
l’avvertimento a tutta la popolazione della montagna che non potevano più
aiutare e nascondere i fuggitivi.
Va ricordato al proposito che
l’obbligo per tutti di aderire alla Repubblica Sociale Italiana dalla sua
costituzione era stato rafforzato con l’ “Avviso agli Sbandati” del 25 maggio
1944 all’indomani del quale chi non in regola non si fosse presentato
volontariamente alla autorità costituita sarebbe stato passato per le armi.
Da qui il successivo
rastrellamento che fu particolarmente cruento in Val Taro e Val Ceno in quanto
zona ritenuta strategica per i collegamenti col fronte della linea Gotica
continuamente messi in difficoltà dalle numerose “bande” di ribelli che si erano
andate a costituire.
Il rastrellamento mirava quindi a
dare un duro colpo alla nascente resistenza e a far comprendere alla
popolazione della montagna sempre più schierata con i ribelli che non era il
caso di continuare su tale strada.
E non a caso venivano colpiti i
sacerdoti che all’epoca erano di fatto gli unici punti di riferimento e i veri
leader del territorio; era alla porta della canonica e della chiesa che
bussavano i fuggitivi, i ribelli, gli sbandati che a centinaia attraversavano
la montagna per trovare vie di fuga; era a loro che si rivolgevano i
parrocchiani per chiedere il da farsi e chiedere consigli e suggerimenti, erano
i sacerdoti che conoscevano ogni persona, ogni cosa e ogni situazione della
propria zona.
Scrive il prof. Giorgio Campanini,
intervenendo nel 2011 al convegno tenutosi a Piacenza sul tema: “La Diocesi
Piacentina tra l’altare e la storia”:” ……non
c’è stata soltanto la Resistenza armata ma vi sono state altre forme di
opposizione non meno significative al Fascismo e al Nazismo. Vi fu in primo
luogo l’opposizione silenziosa di vescovi e parroci che rifiutarono ogni
legittimazione di quel potere costituito, rifiutarono ogni compromissione, si
chiusero in un silenzio tuttavia operoso perché si espresse nel sostegno dato da
monasteri, da conventi e parrocchie ai partigiani. Si espresse con l’ospitalità
accordata spesso a rischio della vita ad ebrei e a prigionieri di guerra. Fu
anche la Resistenza indiretta dei militari e antifascisti che nonostante le
lusinghe e le sollecitazioni rifiutarono l’adesione alla Repubblica Sociale,
ben sapendo che questo avrebbe in molti casi significato il sacrificio della
vita. Non si può quindi non tenere unita la Resistenza armata con la Resistenza
passiva, silenziosa; da qui non si può giudicare il contributo dei cattolici
alla Resistenza soltanto sulla base della loro partecipazione alla lotta armata
(pure rilevante). Più di una ricerca ha oramai messo in evidenza che al ruolo
militante nella Resistenza armata si accompagna un’azione che è stata non meno
importante e forse decisiva nel favorire la presa di distanza definitiva degli
italiani, non soltanto della parte più attiva del cattolicesimo, dalle
ideologie totalitaristiche; ha preso progressivamente coscienza
dell’impossibilità di affidare le sorti del cattolicesimo e ancor più la difesa
della fede ad un regime che da autoritario era diventato sempre più
schiettamente totalitario….”
Per dare
memoria dell’attività dei cattolici durante il periodo resistenziale,
nell’agosto del 1945 il card. Luigi Lavitrano, presidente della commissione
cardinalizia per l’alta direzione dell’Azione Cattolica, inviava a tutte le
Diocesi italiane la richiesta di ottenere relazioni dai sacerdoti al fine di
avere informazioni il più possibile dettagliate sull’opera del clero e dei
cattolici italiani nella guerra 1940/45.
Anche la Diocesi di Piacenza
attivava i propri sacerdoti, soprattutto quelli impegnati in montagna, a
redigere e consegnare le proprie memorie; da qui deriva tutta una serie di
documenti ora conservati presso l’Archivio storico della Curia vescovile di
Piacenza in una sezione speciale dedicata alla Resistenza; testimonianze
raccolte e pubblicate nel volume: “Nella bufera della Resistenza” a cura del
prof. Angelo Porro e di Mons. Domenico
Ponzini.
La gran parte della
documentazione riguarda in particolare il periodo successivo all’8 settembre
1943, quando l’occupazione nazi-fascista produsse innumerevoli sofferenze e
lutti alla popolazione e facendo tra le sue vittime anche sei sacerdoti.
Mons. Carlo
Boiardi, dal 30 aprile 1944 al novembre 1945 Arciprete e Vicario Foraneo di
Borgotaro, tiene nel suo diario memoria dettagliata del periodo e, a proposito
dei fatti di Strela, annota:”….nel tardo
pomeriggio del 20 luglio mi giunge fulminea la notizia dell’uccisione del
parroco di Strela don Alessandro Sozzi e di Padre Umberto Bracchi, avvenuta
ieri mattina a Strela. Non voglio credere a tanta sciagura e a si orrendo
delitto. Padre Bracchi dovrebbe trovarsi ai Gherardi, dove si è recato da una
settimana. Ritengo sia una delle solite notizie sensazionali, quali girano
tutti i momenti. Ma poco dopo mi portano una lettera del cav. Marchini dei
Gherardi, che purtroppo mi conferma la dolorosa notizia, e mi da i primi
particolari. Padre Bracchi da alcuni giorni era ai Gherardi, ospite del cav.
Marchini, lunedì quando seppe della nostra cattività (l’arciprete con altre
persone erano stati per alcuni giorni tenuti in prigionia dai tedeschi ndr) era andato a Strela con l’intenzione di
recarsi a Bedonia per pregare Mons. Checchi di interessarsi di noi. Giunto a
Strela non ritenne opportuno proseguire e a Bedonia andò lo stesso don Sozzi il
quale ritornò assicurando dell’interessamento dell’arciprete di Bedonia..…..a
quel punto padre Bracchi ritornò ai Gherardi dove trovò una situazione di
allarme continuo per le notizie che arrivavano; e così la mattina seguente si
alzò alle 4,30, celebrò e poi si recò di nuovo a Strela sperando di trovarvi un
asilo più sicuro. Invece il mercoledì mattino verso le 8 giunse un gruppo di
soldati tedeschi e di militi della S. Marco, che senza ascoltare
giustificazioni condusse i due sacerdoti presso il cimitero e li uccise: era il
giorno di S. Vincenzo, il fondatore della sua Congregazione: povero Padre
Bracchi. Era una figura notissima di sacerdote, amato e stimato a Borgotaro,
dove ha fatto tanto del bene. Anima zelantissima, ardente e generosissima. E’
un dolore grande per tutti. Per me che lo ricordo come mio direttore di
camerata dei moralisti, al Collegio Alberoni. Anche don Sozzi era un sacerdote
di grande zelo che ha sacrificato se stesso e dato i suoi beni per la sua
parrocchia di Strela. Lui pure conoscevo bene e stimavo fin da quando fui a
Bedonia. L’uccisione di Padre Bracchi e di don Sozzi è un episodio di quanto è
avvenuto a Strela, dove le vittime furono una ventina e un gran numero di case
venne bruciato. Temo che altre notizie dolorose arriveranno….”
Mentre in data
13 agosto 1944, mons. Romualdo Gazzola dal 1942 al 1948 Vice direttore del
Seminario Vescovile di Bedonia scrive:”………….il
giorno 3 agosto 1944 sono partito da Montalbo con alcuni seminaristi che
tornavano in famiglia per le vacanze, diretti nelle zone di Bedonia, Bardi,
Borgotaro, Montereggio; il percorso Ponte dell’Olio-Bedonia fu fatto a piedi,
nel tragitto moltissime persone ci fermarono, interrogandoci e raccontandoci le
loro sventure subite nel recente rastrellamento: rubamenti, saccheggi,
distruzioni, incendi, vittime, ecc……” segue la descrizione di episodi
accaduti nelle Parrocchie di Le Moline, Pione, Faggio, Scopolo, Masanti,
Casale, Strepeto, Alpe e Sidolo. Il 10 Agosto mons. Gazzola arriva a Sidolo
dove i parrocchiani raccontano dell’uccisione di don Giuseppe Beotti di don
Delnevo e del seminarista Subacchi che nel suo racconto descrive
minuziosamente. Poi relazionando sui fatti di Strela continua:”…don Sozzi e don Bracchi, uccisi nella
mattina del 19 luglio vicino al cancello del cimitero di Strela, rimasero tre
giornate all’aria e al sole: proibizione assoluta di avvicinarsi e comporre le
salme. Tutti e due sepolti a Strela. Chiesi se sapessero quale motivo addotto
dai sicari per giustificare le loro azioni diaboliche ed ebbi in risposta:1)
non si sa; 2) un repubblicano la sera del 20 in una famiglia avrebbe asserito
che i tedeschi hanno ucciso tre pastori perché davano da mangiare ai ribelli;3)
facevano segnalazioni ai ribelli;4) il parroco teneva presso di se due ribelli
travestiti; 5) don Beotti avrebbe detto: “Piuttosto che bruciare il paese,
uccidete me”. Mentre stavo per partire mi fu riferito che un repubblicano in
casa Berni avrebbe detto: “Nostro compito è di uccidere tutti i preti”. Al
povero don Bracchi è stata manomessa anche la dentiera…….”
Scriveva
ancora don Davide Mantegari, dal 1933 prevosto di Spora di Bedonia, nella sua
relazione alla Diocesi, in data 24 gennaio 1946, relativamente ai fatti della
primavera-estate del 1944 in cui anche Spora ha rischiato di essere bruciata
dai nazi-fascisti alla ricerca dei partigiani e solo la determinazione ed il
carisma del parroco lo hanno evitato:” ….questo
è uno dei tanti esempi di eroismo compiuti da clero in quell’eccezionale
periodo storico; esempi che dimostrano come il clero sia sempre rimasto
all’altezza della situazione, sia pure nello sgretolamento di tante istituzioni
e di tanti spiriti. I sacerdoti si sono mantenuti, come sempre, uniti al loro
popolo, specialmente a coloro che erano più esposti ai pericoli, ai danni, alle
sofferenze della guerra. Lo hanno assistito e coraggiosamente difeso
affrontando le più terribili responsabilità, resistendo impavidamente alle
sopraffazioni dei nemici della Patria e della Chiesa. Hanno realizzato il
programma evangelico del Buon Pastore di anime che è sempre pronto a
sacrificare la vita per il suo gregge. E molti l’hanno realmente sacrificata,
cadendo vittime espiatori per le presunte colpe: aver dato una mano ai patrioti
o essersi esposti a difesa dei fedeli. Questa parte luminosa ed eroica compiuta
dal clero durante il periodo oscuro della Resistenza valga a dissipare le
calunnie di certa propaganda e confermare i buoni. E’ un fatto che il popolo
italiano, nell’immane catastrofe che lo ha colpito, ha trovato nella sua fede
cattolica la più ricca sorgente di fortezza e conforto. Non dimentichi che
quelle energie spirituali sempre inesauribili sono anche ora indispensabili al
risorgimento civile della Patria. La constatazione che la fede del popolo è
uscita dalla tremenda prova non indebolita ma piuttosto rafforzata, sarà per i
sacerdoti la più ambita ricompensa ai loro sacrifici…..”
Memorie di
sacerdoti eroici che non sono arretrati davanti ai pericoli ma si sono posti
alla guida delle loro comunità; al proposito, Mons. Enrico Manfredini, vescovo
di Piacenza, nel suo discorso sul Monte Penna nel Luglio del 1977, ricordava
che i sacerdoti avevano operato durante la Resistenza:”…... con lo stile del servo del Signore, con quella libertà e
disponibilità assoluta che ha portato Cristo alla morte per tutti gli uomini e
per tutto l’uomo; usando solo la genialità dell’amore e rifiutando le risorse
della violenza; al solo scopo di costruire dentro un popolo l’unità della
comunione fraterna, mediante il perdono reciproco e il riconoscimento pratico
della dignità e dei diritti di ciascuno; cancellando le discriminazioni e le
differenze ingiuste; disinnescando le cause della conflittualità sociale;
scoraggiando ogni iniziativa e ogni pretesto per l’umiliazione e
l’emarginazione del diverso, che non si lascia integrare nel sistema
imperante……”
Ed allora
proprio in nome dei 17 martiri di Strela, tra cui i sacerdoti don Alessandro
Sozzi e Padre Umberto Bracchi, dei 3 martiri di Cereseto, ed anche di don
Giuseppe Beotti, di Giuseppe Berti (per i quali la Diocesi di Piacenza ha
avviato la causa di beatificazione), di Francesco Daveri, cattolico, avvocato,
riferimento e guida del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, morto di
stenti in un sottocampo di Mauthausen il 12 aprile 1945, di don Francesco Delnevo, del seminarista
Italo Subacchi, di don Giuseppe Borea e dei tanti che anche in questi nostri
territori hanno saputo, pagando di persona, ribellarsi alle ingiustizie; uomini
valorosi che per strade e modi diversi hanno interpretato e perseguito un unico
disegno rivolto alla ricerca della giustizia, della libertà e della democrazia,
in nome di questi nostri eroi che ci hanno permesso di vivere in una società
ricca e prospera, dobbiamo rivivere anche questa commemorazione alla ricerca
dei valori e degli ideali.
Con l’ impegno alla partecipazione
personale di ognuno di noi, impegno che tutti noi oggi ci dobbiamo assumere,
voglio concludere l’odierna commemorazione con il ricordo di Sergio Gigliotti,
“Sparviero”, tra i più fulgidi maestri e testimoni della lotta partigiana di
questa terra e con le parole utilizzate dal suo amico Felice Ziliani,
piacentino, partigiano combattente con il soprannome di “Griso”, tra i primi
pionieri dell’Agip di Enrico Mattei e per anni, assieme a Sergio, dirigente
dell’Associazione Partigiani Cristiani, parole in memoria dei sacerdoti della
Diocesi di Piacenza - Martiri della Libertà.
I Sacerdoti che stiamo onorando ci ricordano
che ciascun uomo ha le sue responsabilità e ciascuno ha un compito cui attendere.
Ci ricordano ancora che ciascuno di noi ha
un dovere rispetto alla società e ciascuno ne deve rispondere perché
nessun’altro farà mai quello che solo noi possiamo fare.
Ci ricordano che non ci sarà mai vera pace
fino a quando l’uomo non avrà trovato la pace in se stesso.
Ci ricordano, col sacrificio del loro
sangue, che non c’è cosa più grande di quella di saper dare la propria vita per
gli altri.
E con queste belle parole che
ricordano ad ognuno di noi l’importanza ed il significato profondo della
responsabilità personale, permettetemi, di mandare un ultimo saluto ai Martiri
di Strela e di Cereseto, a don Alessandro Sozzi, a Padre Umberto Bracchi, a don
Giuseppe Beotti, a don Francesco Delnevo, al seminarista Italo Subacchi, a don
Giuseppe Borea, a Giuseppe Berti, a Francesco Daveri, a “Sparviero” e al “Griso” che insieme a mio padre Giovanni,
partigiano combattente e ferito in battaglia, mi inculcò l’amore per la nostra
patria.
Anche a nome loro viva la
Resistenza, viva la Repubblica, viva la Patria.
Mario Spezia
Presidente Provinciale
Associazione Nazionale Partigiani
Cristiani
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