La vicenda legata alle perdite
del Monte Paschi Siena e dell’ennesimo ricorso ai “derivati” ha messo allo
scoperto anche una analoga operazione eseguita dalla nostra Fondazione di
Piacenza e Vigevano (leggi nota su PiacenzaSera).
Mi pare questa l’occasione per
sviluppare alcune riflessioni, a partire dal chiederci a che cosa servono i 25
consiglieri della Fondazione, di cui almeno 20 espressione del territorio
piacentino, (nominati in pompa magna da tanti Enti e Istituzioni); qual è il
compito che la comunità locale, nel suo complesso, loro affida al momento dell’insediamento
se non quello di amministrare il patrimonio della nostra collettività con:”…… criteri prudenziali di rischio,
investendo detto patrimonio in attività coerenti con la propria natura di ente
senza fini di lucro, agendo secondo regole di trasparenza e di moralità..…” come
recita il comma 2 dell’art. 7 dello Statuto.
A tale proposito mi pare
opportuno, in questo momento storico che segna la fine di un ciclo sociale e di
un’epoca, riscoprire la necessità dell’impegno e della responsabilità personale
di tutti coloro i quali sono chiamati a svolgere ruoli di rappresentanza
pubblica e collettiva. Non è sufficiente, a tal fine, sbandierare onestà e
coerenza (caratteristiche indispensabili ma non per questo di per se indicatrici
di qualità personali), per ricoprire ruoli che necessitano di capacità
specifiche e merito; non è sufficiente la sola buona volontà per assicurare il corretto
svolgimento dei compiti affidati.
La democrazia si estrinseca
attraverso la delega delle responsabilità ed il costante controllo (in un senso
e nell’altro) dei compiti e degli impegni affidati e presi; e si incrosta nella
faciloneria e nel pressapochismo di chi, anche se in buona fede, non è in grado
di compiere il proprio dovere. Quindi le colpe non sono mai di pochi, in una
società così articolata e complessa come
la nostra, ma rappresentano la somma delle responsabilità di chi,
materialmente, le realizza e di chi, anche se inconsapevolmente non controlla e
non verifica.
Per cui, restando al caso della
Fondazione, ci dobbiamo domandare cosa hanno fatto in questi anni i 25
consiglieri? Quanti di questi sono in grado di leggere un bilancio? Di capire
di investimenti? Di comprendere il valore pieno del proprio ruolo? E ancora,
quanto dibattito e discussione si sono sviluppati negli enti designanti ma
anche nei partiti, che dovrebbero mediare la rappresentanza tra cittadini,
corpi intermedi e Istituzioni, sulle scelte così forti e difficili assunte
negli ultimi anni dalla struttura che amministra il patrimonio, messo da parte
dalle generazioni che ci hanno preceduto, dell’intera collettività piacentina?
I problemi, anche i più grandi,
derivano in buona parte dall’incuria e dal pressapochismo con cui, ognuno di
noi, affronta le questioni; se queste
sono private è solo un suo problema ma se tale comportamento è riferito a
vicende pubbliche, allora il problema è di tutti.
E’ quello che sta capitando nella
nostra società (e nel mondo occidentale) dove non solo un ristretto numero di
persone si profitta degli altri, ma il fenomeno ha assunto fenomeni e
dimensioni generali.
Un brano di un famoso testo del
prof. Carlo Maria Cipolla recita: “un
Paese sottosviluppato ha imprenditori che valgono poco, operai che valgono
meno, professori incompetenti, studenti che studiano poco, governanti che non
sanno governare e cittadini senza senso civico. Per questo il Paese resta
sottosviluppato. La mancanza di capitali e l'arretratezza tecnologica e
amministrativa in certo senso sono più « conseguenze » che cause » del
fenomeno dell'arretratezza”.
Piacenza 31 gennaio 2013
Mario Spezia
Membro del Consiglio generale
della Camera di Commercio di Piacenza
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