Sono nato a Salsomaggiore Terme (Parma) nel 1955 e risiedo a Piacenza. Sono sposato dal 1978 con Graziella.
Ho una figlia, Margherita, e una grande passione: la politica, che per me significa lavorare per costruire il futuro della nostra comunità.
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lunedì 14 aprile 2025

Il grande contributo dei cattolici alla Resistenza piacentina

Il 12 aprile si è tenuta la presentazione del libro “La fede muove un popolo” edito da “Il Nuovo Giornale”: autori Davide Maloberti, Federica Villa, Silvia Manzi e Daniela Morsia. Il focus è stato sul contributo dei cattolici alla Resistenza. Ne hanno parlato: don Davide Maloberti, che ha dato una presentazione generale del libro, Daniela Morsia, autrice dei capitoli dedicati al periodo della Seconda guerra mondiale e della ricostruzione, e Mario Spezia, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza.




Il grande contributo dei cattolici alla Resistenza piacentina può essere riletto all’interno del processo di sviluppo del movimento cattolico che prese avvio nel periodo a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Un periodo, questo, segnato dalla personalità e dall’azione episcopale di Giovanni Battista Scalabrini, un vescovo moderno anche per i suoi frequenti contatti con il popolo. Fu nel periodo scalabriniano che si affermò la figura del “prete sociale” attento ai bisogni della comunità. È questa figura di prete sociale che diverrà poi, proprio durante la Seconda guerra mondiale, il prete di montagna che apre la canonica di guerra ai perseguitati e ai bisognosi.
Il movimento cattolico registrò poi una progressiva attenzione alle esigenze della società, con un sempre maggiore coinvolgimento di donne e giovani. Questo è vero per l’episcopato di Giovanni Maria Pellizzari, alla guida della diocesi piacentina dal 1905 al 1920, ma anche e in particolare per il lungo episcopato del bolognese monsignor Ersilio Menzani che resse la diocesi dal 1921 al 1961,affiancato dal 1946 dal vescovo coadiutore Umberto Malchiodi.
Quando Menzani arrivò nella diocesi piacentina, iniziavano a viversi – sono le stesse parole delvescovo bolognese – tempi assai “procellosi e di pubbliche angustie”. Erano i tempi del consolidarsi del movimento fascista, della figura del ras Bernardo Barbiellini Amidei, fortemente antisocialista e antipopolare. Erano i tempi dello squadrismo fascista che, soprattutto nella seconda fase, andava a colpire il anche il fronte cattolico. Molti furono parroci aggrediti, come don Giovanni Grandi, parroco di Creta che morirà nell’ottobre del 1924 a seguito proprio delle conseguenze dell’aggressione. Furono gli anni del grande scontro tra Barbiellini e il suo giornale “La Scure” con il direttore del “Nuovo Giornale”, monsignor Francesco Gregori, parroco di Sant’Anna e tenace sostenitore del Partito popolare che sarà costretto a rassegnare le dimissioni nel novembre 1922.
Pochi anni dopo don Gregori si ritirerà nella parrocchia di Pomaro, attorno alla quale si formò un gruppo di giovani cattolici protagonisti della Resistenza. Il coraggio civile mostrato da personaggi come don Gregori, ma anche don Dante Colombini, o don Luigi Ferrari a Fiorenzuola avranno un’importante influenza sui giovani legati all’associazionismo cattolico. Fu infatti proprio in quest’area di Azione Cattolica, ma anche poi della Federazione universitaria Cattolica e del Movimento dei laureati che si avrà la formazione di quelli che saranno i maggiori esponenti dell’antifascimo cattolico. Su questo periodo – che è un periodo straordinario – ha scritto bellissime pagine Giuseppe Berti che parlava, per gli inizi, non certo di antifascismo organizzato, ma di una comune formazione che passava attraverso la famiglia, la parrocchia, l’oratorio e l’associazione. In quelle che saranno le tante testimonianze edite dopo il 1945 emerge questo fatto: furono le occasioni di studio e di confronto legate all’associazionismo cattolico a lasciare il segno per le scelte future: una difesa dell’identità che creava un’area di quel dissenso morale che permetterà poi la scelta della Resistenza.
Furono tanti i luoghi importanti del movimento cattolico e dell’antifascismo di quegli anni, a partire da Palazzo Fogliani, sede delle associazioni cattoliche (AC, FUCI e Movimento laureati) ove si formò un gruppo molto coeso, animato da personaggi come Francesco Daveri, Giuseppe Berti, monsignor Alfonso Fermi e Ugo Civardi, che sarà poi delegato vescovile per l’assistenza ai partigiani e che avrà un ruolo molto importante nella gestione dell’assistenza ai reduci di Villa
Veano. A Palazzo Fogliani si gettò il germe di quella che sarà la Democrazia Cristiana. E, soprattutto, a Palazzo Fogliani si ebbe uno straordinario incontro generazionale, tra i vecchi esponenti del Partito popolare e i giovani delle associazioni cattoliche, da Carlo Castellana a Luigi Broglio, da Giannino Bosi a Cesare Baio. Ci furono ovviamente anche tante donne (il loro contributo è importantissimo) a partire da Antonietta Rossi, segretaria di propaganda dell’Unione femminile cattolica italiana nella cui casa passava tutta la stampa clandestina.
A mano a mano iniziò anche un antifascismo organizzato con oratori e chiese che divennero luoghi di incontro, in città come in montagna. Il contributo dei cattolici e del clero alla Resistenza è stato notevolissimo. È stata una resistenza portata avanti dai giovani cresciuti negli oratori e nelle associazioni cattoliche e che alla scelta della Resistenza arrivò, prima di tutto, con un rifiuto della violenza. Il contributo del clero poi merita una particolare attenzione perché la canonica di guerra divenne un centro di rifugio, di mediazione e di ricerche e di conforto per tutta la popolazione. Il prete aprì la canonica ai perseguitati e ai bisognosi e divenne, soprattutto dopo il settembre del 1943, un punto di riferimento religioso e civile, difensore della popolazione e mediatore tra le forze contrapposte in campo.
Molti di questi parroci scrissero anche, nell’immediato secondo dopoguerra, relazioni, dal prezioso valore testimoniale, che portano in primo piano non tanto le
azioni militari delle formazioni, quanto in primo luogo le sofferenze del popolo. È sicuramente difficile ricostruire estesamente l’opera del clero in una situazione che diveniva via via sempre più pericolosa e complessa. Nascondere patrioti, mettere in salvo prigionieri, salvare dalla deportazione o dalla condanna a morte, confortare i condannati destinati alla fucilazione, impedire rappresaglie, salvare paesi; simili azioni furono centinaia che si rinnovarono nelle canoniche e nelle chiese. Accanto al clero che esercitò un’azione di ordine caritativo, assistenziale, religioso e morale, operò un gruppo più ristretto, che si inserì anche nella lotta vera e propria. Il prezzo pagato dal clero piacentino è alto, con fucilazioni, ma anche perquisizioni e carcere. Tra i diversi sacerdoti vittime della violenza si è voluto ricordare in questo libro le figure di don Giuseppe Beotti e di don Giuseppe Borea.

Don Giuseppe Borea


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